Ayotzinapa ti accoglie ancora prima di arrivare. Elicotteri che sorvolano la zona, posti di blocco nella carrettera che porta alla scuola e un forte senso di insicurezza e tensione mescolato ad un’agghiacciante normalità.
Per nostra fortuna il viaggio dalla capitale procede senza intoppi e a Chilpancingo troviamo ad attenderci Francisco, studente del terzo anno della Normal.
Francisco ci fa da Cicerone e comincia a raccontarci della scuola.
Nate negli anni 20 del Novecento sotto il presidente Lazaro Cardenas, le scuole rurali sono state istituite per dare la possibilitá ai campesinos poveri di mandare a scuola i loro figli.
Infatti una delle prime cose che ci colpisce é che per entrare la cosa importante non é superare l’esame di ammissione didattico, quanto quello socio-economico. Ogni famiglia viene “visitata” da rappresentanti della scuola e i ragazzi possono entrare solo se la famiglia é effettivamente povera.
La scuola é gratis per tutti, dá vitto e alloggio perché tutti i ragazzi lavorano al sostentamento della scuola stessa, non avrebbe senso far pagare chi lavora e non ha possibilitá economiche, dice Francisco.
Attualmente, ci racconta sempre Francisco, le attivitá sono ferme e ricominceranno la prossima settimana. Cosí la scuola é deserta, solo pochi i ragazzi presenti a controllare che tutto scorra tranquillo.
Giusto la settimana scorsa é finita la settimana di prova dei nuovi arrivati. In questa settimana gli studenti lavorano i campi della scuola, sistemano e puliscono, fanno gli esami. Francisco non é contento perché di circa 150, in 17 si sono ritirati, troppo dura per loro.
Sono i ragazzi del comitato che autogestiscono tutte le attivitá. Sono circa un’ottantina, divisi in vari gruppi, chi si occupa della cucina, chi dei campi, chi degli animali, chi delle altre attivitá che servono a mandare avanti la scuola. Del comitato fanno parte solo i ragazzi del secondo e terzo anno, quelli del primo e dell’ultimo non ne fanno parte.
E sono sempre gli studenti, in completa autonomia, a fare autoformazione politica: gli studenti piú grandi insegnano ai nuovi quello che hanno appreso e insieme discutono di politica, studiando Marx e la storia politico-sociale del Messico e del mondo.
Non tutti sono interessati a formarsi politicamente; chi ha altre attitudini é spinto a svilupparle e a insegnarle agli altri studenti.
Parliamo anche degli zapatisti. A loro interessano solo alcune delle suggestioni che provengono da lí, non si sentono zapatisti ma ne riconoscono l’importanza.
Nel giro di presentazione della scuola, Francisco ci racconta anche le storie di lotta. Nel 1988, viene ucciso a freddo dai federali uno studente di un’altra scuola venuto a dar manforte alla Normal durante uno sciopero. All’entrata della scuola una croce bianca lo ricorda. E poi, altri monumenti, di compagni morti ammazzati, nel 2011. E murales . La scuola é tutta dipinta dagli studenti, Marcos, el Che, murales di ogni tipo ricordano le varie stagioni di lotta.
Con orgoglio Francisco ci racconta che nonostante tutte le violenze e la repressione subita, dentro alla scuola la polizia non é mai entrata. La loro determinazione e la solidarietá della popolazione della vicina Tixtla ha sempre scongiurato questa evenienza.
Sono rimaste solo 17 scuole Rurali in tutto il Paese e la Normal di Ayotzinapa é da sempre un simbolo. Un altro ragazzo del comitato, Sergio, ci dice che “se cade questa, cadono tutte le altre. Non é perché ci vogliamo far belli, ma perché siamo la scuola con la piú forte storia di lotta.”
Il malgoverno vuole chiuderle le scuole rurali ma ancora non c’é riuscito. Troppo forte la determinazione e l’organizzazione di questi ragazzi.
In fondo alla tenuta, vediamo un autobus: é uno di quelli “presi in prestito” per poter seguire le manifestazioni, pratica diffusissima in Messico e causa che ha portato alla tragica notte del 26 settembre.
Francisco e gli altri non ci tengono molto a parlare di quella notte, preferiscono parlare delle loro vittorie, di come preparano i ragazzi a diventare maestri, di come formano una classe politica di sindacalisti (e forse anche di guerriglieri).
Quando finiscono i 4 anni, diventano maestri ed entrano tutti nel sindacato di categoria. Da pochi anni hanno ottenuto l’apertura di due corsi: il primo, classico, di chi parla solo spagnolo, il secondo per chi parla la propria lingua locale e lo spagnolo. Perché sono molti ancora i villaggi sperduti nelle milpas dove si parla mixteco, nahuatl o altre lingue indigene. In questi villaggi diventerá maestro chi può comunicare anche nella lingua madre. Non é stato facile ottenere dallo stato questo nuovo corso, ma grazie a proteste e manifestazioni alla fine l’hanno spuntata.
Francisco ci porta poi nel grande campo da basket coperto che funge anche da piazza.
Cala il silenzio, striscioni enormi di altre scuole e organizzazioni ricordano i 43 desaparecidos di settembre. E poi, in una metá del campo, 43 sedie, con le foto dei ragazzi e le tartarughe, fiori e lumini. Un pugno sullo stomaco, non ci sono troppe parole, Francisco é in silenzio e noi con lui. C’é anche un piccolo tempietto custodito e curato dai genitori e dai familiari, che si sono trasferiti qui lasciando casa, famiglia e campi in attesa di rivedere i propri figli. Non ce ne sono molti ora, sono in carovane in giro per il Paese a raccontare questa triste storia.
La giornata sta per finire, il comitato ci ha preparato la cena, un concentrato di chili in ogni sua parte. Francisco sorride guardando le nostre facce andare a fuoco, non abituate ad una razione cosí eccessiva di piccante. Finita la cena restiamo a chiaccherare del piú del meno, si parla di Totti, qui lo chiamano il Finissimo, il calcio come sempre unisce.
Giunge infine l’ora di andare a dormire, il nostro “cuarto” é piccolo ma é comunque accogliente. É la stanza di due studenti che ora sono tornati a casa. Sui muri le scritte politiche ma anche i romantici “te amo” tipici di ragazzi che sognano e costruiscono un mondo piú giusto ma che non smettono di essere ragazzi come tanti innamorati della vita.
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