Don Damian é un signore di etá indefinita, fisico basso e tozzo, faccia scura da indios, le rughe a segnare una vita spesa a lavorare nelle milpas.
Don Damian é il padre di Felipe Arnulfo Rosa, uno dei 43 studenti scomparsi la notte del 26 settembre durante la tragica notte di Iguala.
Si é trasferito qui nella scuola da quel giorno e giura non se ne andrá fino a quando suo figlio non tornerá. Ci accoglie nel suo cuarto, un’aula scolastica che gli hanno lasciato perché possa sentirsi a suo agio.
Prende delle sedie e ci fa accomodare, con noi c’é sempre Francisco perché Don Damian, el Tio come lo chiamano affettuosamente gli studenti, ha imparato a parlare spagnolo solo in questi mesi ospite della scuola.
Con fatica, voce roca e bassa, comincia a raccontare.
Viene dalla Costa Chica, a circa sette ore da qui, vive in montagna, lavora la terra con la sua famiglia, non si sposta dalla sua terra, non ha bisogno di parlare spagnolo, lì si parla mixteco. La moglie era venuta ad Ayotzinapa ma poi é ritornata al suo Pueblo perché non riesce piú a camminare. Con lui qui c’é l’altra sua figlia che lo aiuta ad accudire il piccolo tempietto costruito in onore dei 43 desaparecidos.
Spesso ci chiede di ripetere le domande, non ci sente da un orecchio per un incidente domestico.
Momenti di silenzio, c’é emozione, c’é rispetto, quasi paura ad affrontare discorsi sui desaparecidos. A volte ritorna sui suoi pensieri e si ripete, si vede che fa fatica quanto noi con una lingua straniera.
Poi all’improvviso ci dice che Felipe ritornerá, che é vivo, glielo dicono in molti, ma Loro non vogliono dirgli dov’é. Ne é sicuro, parla al presente, Felipe frequenta il terzo anno, come Francisco, ed é venuto ad Ayotzinapa perché le altre scuole costano troppo e non possono permetterselo, mentre qui la scuola é gratuita..
Ritorna a parlare del suo pueblo, tutta la comunitá sta aiutando la sua famiglia con i lavori nel campo. La mattina si alza presto e prima di tutto si inginocchia davanti al tempietto e prega. Lo fa tutte le mattine. La figlia invece si occupa di tenere accesi i 43 lumini, quasi a tenere accesa la speranza.
Nel suo sguardo c’é dolore, sofferenza, ma é qualcosa difficile da spiegare. Nei suoi occhi non c’é la sofferenza per la perdita di un figlio, é un dolore sospeso che lo avvolge, qualcosa che paralizza tutto ciò che lo circonda ma allo stesso tempo lo fa andare avanti.
Perché Don Damian fa fatica, si vede che é stanco, che vorrebbe riposarsi, ma non può, perché chi ha un figlio desaparecido non può fermarsi, non ha pace, é un’agonia senza fine.
Usciamo dalla sua stanza in silenzio, promettendogli di raccontare la sua storia, un piccolo aiuto, forse inutile, ma necessario.
No estas solos Don Damian.
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