Reportage della staffetta #overthefortress – Tovarnik, 19 settembre 2015
La fila in attesa dell’arrivo dei pullman si ingrossa a vista d’occhio. I migranti lasciano le loro valigie a “tenere il posto” mentre si riparano all’ombra o si rifocillano grazie alla distribuzione efficiente di generi di prima necessità dei volontari tedeschi e croati. Il flusso di persone in arrivo a Tovarnik è costante, il confine con la Serbia da questa mattina è riaperto a intermittenza, anche se è possibile attraversarlo solo a piedi. In poche ore le persone presenti, nello spazio adiacente alla stazione dei treni della cittadina croata, sono circa 3.000.
L’accampamento precario di Torvarnik è un’altra tappa obbligata del viaggio che per i migranti sembra non finire mai. La maggior parte delle persone sono arrivate ieri, alcune sono ferme da più giorni: donne, uomini, bambini, di tutte le età; tanti sono siriani, ma ci sono anche afgani , pakistani e bengalesi. I più fortunati sono riusciti a ripartire quasi subito, gli altri attendono pazientemente il loro turno: se venissero bloccati qui si creerebbe in poco tempo un piccolo villaggio, una “Jungle” come quella di Calais. Anche oggi però i pullman e il treno partiranno, ma nessuno sa l’ora e soprattutto quanti potranno salire e dove verranno portati.
Le informazioni, quando ci sono, sono poche e discordanti: Zagabria, Ungheria, Austria, il centro d’identificazione di Jerezo vicino alla capitale croata, sono quelle che circolano, ma non c’è nessuna certezza.
I migranti sono in ostaggio della diplomazia dei singoli Stati e dell’Unione Europea, costretti ad affidarsi a informazioni scarse e vaghe che li costringono a muoversi improvvisamente e velocemente da un luogo ad un altro spesso percorrendo molti chilometri a piedi.
Le modalità di gestione dei flussi migratori da parte dei diversi governi sono diversificate in relazione al momento: qui a Tovarnik stiamo assistendo a come, impossibilitati a bloccare migliaia di corpi in movimento, si sono arrogati il diritto di controllarne e deciderne i tempi e i luoghi, vincolando la libertà e le possibilità di scelta delle persone a criteri decisionali puramente diplomatici e burocratici, senza tenere conto dell’umanità e delle esigenze dei migranti.
Tutto questo si traduce in estenuanti attese durante le quali le persone sono abbandonate a sé stesse, obbligate a soste e ripartenze improvvise, sospesi in un’infinita odissea tra i confini alle porte d’Europa. Gli ostacoli che incontrano lungo il percorso sono innumerevoli e di diversa natura: fisici, pratici ma nondimeno psicologici: alla stanchezza di un viaggio che può durare parecchi mesi si aggiunge la frustrazione di una meta che si allontana di giorno in giorno ma nonostante ciò resta l’obiettivo irrinunciabile; a questa si somma inoltre l’incertezza dovuta a un sistema di gestione che non fornisce né informazioni né aiuti; anzi: spesso i migranti sono vittime di raggiri da parte delle stesse istituzioni, con finte aperture di varchi seguite da respingimenti immediati.
In queste zone di confine, di passaggio da uno Stato all’altro il migrante è considerato una merce di scambio tra i vari capi di governo, un oggetto legato ad interessi geopolitici nazionali e sovranazionali, irresponsabilmente scaricato o accolto a seconda della convenienza del momento.
A Tovarnik, come a Horgos, gli unici interventi umanitari sono organizzati e gestiti dal basso da volontari e associazioni di base che in pochi giorni sono riusciti, senza grossi mezzi e finanziamenti, a mettere in piedi raccolte di fondi e materiali di prima necessità, ad allestire spazi attrezzati con cucine da campo, tende e punti di distribuzione di vestiario e coperte. Il sostegno umanitario di queste iniziative, non dissimili da quelle di altri luoghi, se da un lato dimostra che la solidarietà è un valore presente in tutti i paesi europei e si muove lungo canali concreti e di mobilitazione sociale, dall’altro mette in luce le carenze strutturali delle “grandi” organizzazioni non governative che per motivi politici e di interdipendenza dai governi sono del tutto assenti in queste circostanze.
Di fronte a questo scenario le persone dimostrano la loro determinazione riuscendo a coniugare lucidamente momenti di attesa ad altri dove, per aprire i varchi, è necessario fare pressione reagendo all’apatia e alla perdita di speranza cui facilmente questa situazione potrebbe portare.
È così che anche oggi le persone sono rimaste pazienti e sono riuscite ad autogestirsi aspettando il loro turno prima di salire sugli autobus. Dalle 15.30, quando è arrivato il primo pullman, circa una ventina si sono susseguiti fino a sera. Alle 19 si è aggiunto un treno di cui si sentiva parlare dalla mattina: né i pullman né il treno portavano alcuna indicazione sulla destinazione ma nonostante questo sono stati visti come l’unica possibilità per continuare il cammino.
Lasciamo la stazione di Tovarnik alle 20, quando meno della metà delle persone in attesa era riuscita a salire, accompagnati dai saluti e dai ringraziamenti di chi si affollava ai finestrini. Ce ne andiamo con la consapevolezza che il loro viaggio non è finito e con la convinzione che quanto abbiamo visto non costituisce nemmeno in minima parte una soluzione per quanti continuano e continueranno ad attraversare la rotta balcanica.
tratto da Globalproject.info
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