di Riccardo Bottazzo – Magari non avevano chiaro il significato del termine scientifico “biodiversità”, ma certamente gli antichi del popolo wixarikà non avevano scelto male, quando avevano indicano in quelle colline che hanno chiamato Wirikuta il luogo dove è nato il sole.
Siamo nel cuore del Messico, nello Stato federale di San Luis Potosí, a circa 360 chilometri a nord di Mexico City.
La riserva naturale di Wirikuta sorge nelle alture della Sierra de Catorce, in quella vasta area chiamata deserto del Chihuahua che dal Messico centrale sale sino a varcare il Rio Bravo ed a lambire le praterie del Texas e dell’Arizona. Un’area di 140 mila ettari quadrati che nel 2004 il governo messicano ha dichiarata Riserva Ecologica Naturale e Culturale, e che nello stesso anno è entrata a far parte dei siti Sacri Naturali dall’Unesco come Patrimonio mondiale dell’umanità.
Già. Perché questo “deserto” non è affatto… deserto. Tutto il contrario. In questo angolo di mondo si concentra la maggior biodiversità e ricchezza endemica cactacea per metro quadrato dell’intero pianeta terra.
Non è per caso quindi, che il popolo indigeno wixarikà, meglio conosciuti in Centroamerica come gli huichol, hanno visto in Wirikuta il luogo magico in cui nacque la vita. Su questa alture sacre, dimore elettive degli dei dei wixarikà, ebbe origine, in tempi remotissimi, la Creazione ed ancora oggi queste alture reggono il peso dell’equilibrio del vivente. Da Wirikuta si dipana nella nostra Terra l’eterno ciclo della natura.
Manco a dirlo, oltre che di biodiversità, queste colline sono ricche di minerali preziosi e il Governo Messicano, più incline alle argomentazione dei dollari messi in campo dalle multinazionali estrattive che alle sacre ragioni dei wixarikà, ha pensato bene di concedere ben 22 concessioni minerarie all’impresa canadese First Majestic Silver Corp. Mentre la zona più sacra della già sacra riserva di Wirikuta, l’area di Bernalejo che è la casa del cervo Kauyumari, è andata per intero ad un’altra multinazionale canadese, la West Timmins Mining.
“E’ come se volessero mettere un distributore di benzina in Piazza San Pietro a Roma o scavare sotto la Basilica della Madonna di Guadalupe a Città del Messico” ha sintetizzato Santos De La Cruz, portavoce della comunità wixárika.
“Il tipo di estrazione utilizzato dalle industrie minerarie è il sistema ‘a cielo aperto’ – spiega De La Cruz -. Questo sistema rimuove nel giro di qualche ora, lo strato superficiale della terra attraverso moderni scavatori e esplosioni al fine di rendere accessibile i minerali. Successivamente per separare il metallo dalla terra si utilizzano dei processi chimici, con il cianuro e il xantatos, altamente contaminanti, con delle enormi quantità di acqua. Ne consegue anche un inquinamento delle falde acquifere e lo svuotamento dei già precari bacini idrici”.
Per le multinazionali minerarie, è un affare di miliardi ed una ulteriore conferma della loro ragione di essere. Esistono perché depredano, depredano perché esistono.
Per il Governo messicano – o meglio, per il Narcogoverno messicano, come lo chiamano da queste parti (e vai a capire il perché) – è un buon sistema per ottenere denaro da investire in facile consenso e voti. Senza contare l’appoggio di quelle finanziarie che oramai non dettano più i tempi solo all’economia ma anche alla politica.
Per i campesinos di San Luis Potosí, lo sfruttamento minerario che devasterà i loro campi, prosciugherà le falde acquifere e avvelenerà la loro terra, si tradurrà al massimo in qualche anno di lavoro, in condizione di sfruttamento e di semi schiavitù (che i padroni de las minas non amano avere sindacalisti tra i piedi). Poi, quando tutto l’estraibile sarà estratto, potranno prendere la via di una delle tante e sempre più numerose favellas che arricchiscono l’America latina. Parlo di quell’America che non fanno mai vedere ai turisti.
Per i wixárika, le concessioni minerarie significano la fine della comunità. Senza alternative. La lingua e la cultura huichol non si tramandano in forma scritta. Ogni giovane la impara in un lungo pellegrinaggio attraverso i luoghi sacri di Wirikuta. Un pellegrinaggio talmente importante che è stato definito una “università itinerante mesoamericana”.
“Questo pellegrinaggio – spiega il portavoce della comunità wixárika – è l’asse portante della nostra identità e il mezzo attraverso cui trasmettere alle nuove generazioni un sistema di conoscenza ancestrali basato sulla natura”. Senza Wirikuta non possono esistere gli huichol. Così come senza laguna, non può sopravvivere la nostra Venezia. Perché gli huichol sono Wirikuta così come Venezia è laguna.
Ma la cosa che fa da pensare che davvero su quelle alture ci debba abitare un qualche dio è che la battaglia in difesa di Wirikuta non è ancora persa. Anzi, è tutta da combattere. La strenua resistenza degli hiuchol alle devastazioni minerarie, come quella di tanti Davide che non arretrano di fronte ai loro Golia, ha suscitato le simpatie di intellettuali, premi Nobel, musicisti e artisti di fama (l’elenco sarebbe davvero lungo) che hanno aderito alla campagna Salviamo Wirikuta. In rete, a questo link, trovate anche una sottoscrizione che vi invitiamo a firmare.
Ne è nato un agguerrito movimento di opinione che, grazia anche alle determinate azioni di resistenza sul campo degli huichol, è riuscito a congelare buona parte delle concessioni minerarie.
Ma la battaglia, come abbiamo detto, è ancora tutta da combattere. “Resistere” è un verbo da coniugare sempre al presente e al futuro. Mai al passato.
Parleremo della difesa di Wirikuta anche nel veneziano, con due incontri ai quali parteciperanno il portavoce della comunità Santos De La Cruz e la scrittrice e sciamana wixárika Maria Mendicino.
Gli appuntamenti sono al centro Dedalo di Mira, via Enrico Toti 35, mercoledì 3 maggio alle ore 18, e all’aula 1B San Basilio a Venezia, salizada San Basegio, giovedì 4 alle ore 17.
Se potete, partecipate e venite a discutere con noi di una lotta a difesa di un patrimonio di tradizioni e di biodiversità che non è solo degli wixárika ma di tutta l’umanità.