Per sparizione forzata si intende la privazione della libertà individuale operata da rappresentanti dello stato o da gruppi di persone che agiscono con l’autorizzazione, l’appoggio o l’acquiescienza dello stato.
Il ruolo dello stato è quindi determinante, sia esso per azione diretta, sia esso per omissione. La storia degli ultimi dieci anni in Messico ci racconta di oltre 100 mila morti e oltre 30 mila desaparecidos. È una guerra non dichiarata alla popolazione messicana, una guerra che colpisce indiscriminatamente uomini e donne, giovani e vecchi, messicani, indigeni e migranti. È una storia che parla di attacco alla vita, alla libertà e alla dignità delle persone che vede coinvolto direttamente lo stato messicano, e che ha come responsabili l’ex presidente Felipe Calderon Hinojosa e l’attuale presidente Enrique Peña Nieto.
C’è omissione in quanto è evidente che lo stato non è in grado di proteggere i propri cittadini, tanto meno di rendere giustizia alle vittime, data l’altissima percentuale di impunità. Il caso dei 43 studenti desaparecidos di Ayotzinapa tuttavia ha reso drammaticamente palese e obiettivamente innegabile il ruolo attivo dello stato non solo nella sparizione forzata (si veda in proposito la contro inchiesta del GIEI), ma anche nel tentativo di occultare e ostacolare in tutti i modi la giustizia.
La sparizione forzata è, secondo le Nazioni Unite, un oltraggio alla dignità umana e per la OEA (Organizzazione degli Stati Americani) un crimine contro l’umanità; un crimine che si ripete giorno dopo giorno, fino a quando la persona scomparsa non viene rintracciata, viva o morta.
Oltre ad essere un crimine nei confronti della vittima, la sparizione forzata colpisce anche i familiari e gli amici, i quali piombano all’improvviso in una specie di oblio paralizzante, che spezza il cuore giorno dopo giorno, che riempie d’angoscia, che blocca, riduce in silenzio, fa vivere nel terrore di fare o non fare qualcosa che possa mettere in pericolo la persona scomparsa. La sparizione forzata è dunque uno strumento del potere per controllare, terrorizzare, zittire e sottomettere la popolazione.
Nonostante tutto questo il Messico è considerato una delle più importanti democrazie del continente e un partner commerciale tra i più affidabili e importanti dai paesi occidentali, Italia in testa. Tacere sul dramma delle sparizioni forzate vuol dire essere complici; non denunciare le responsabilità e gli abusi delle istituzioni è essere complici.
Ad aprile giunge in Italia la mostra Huellas de la memoria (Orme della memoria), un’installazione dell’artista messicano Alfredo Lopez Casanova, il cui obiettivo è denunciare la sparizione forzata e dare voce e forza ai familiari dei desaparecidos.
Come recita il comunicato di presentazione “Huellas de la memoria è un’opera artistica, dove le orme dei passi piene di dolore, ma instancabili, dei familiari dei desaparecidos denunciano la situazione spaventosa della popolazione messicana e di quelle dei Paesi del Sud America. Huellas de la memoria è solidarietà con i familiari, è un coro che si alza contro la violenza narco-Statale in Messico ed in Sud America. Huellas de la memoria è un’opera collettiva che dà voce a chi non ne ha. Huellas de la memoria è una campagna internazionale contro la desapariciòn forzata. Huellas de la memoria verrà esposta nel Regno Unito, Francia, Italia, Spagna e Germania.”
Huellas de la memoria arriverà nei nostri spazi nella seconda metà di maggio e avrà ospite d’eccezione per tutta la durata dell’esposizione Ana Enamorado, del Movimiento Migrante Mesoamericano e madre di un giovane desaparecido.
Queste le date coordinate dall’associazione Ya basta! Êdî bese!:
17-20 maggio – c/o L.O.Co a Mestre
22-28 maggio – c/o Ca’ Bembo a Venezia
14-29 giugno – c/o Sherwood Festival di Padova
Durante il periodo di esposizione l’Associazione Ya basta! Êdî bese! organizzerà incontri e iniziative di contorno all’evento.
Le altre date italiane sono:
18-22 aprile Firenze
19-30 aprile Roma
1-14 maggio Verona
1-12 giugno Torino
¡Vivos se los llevaron, vivos los queremos!