Il 28 aprile scorso in Colombia è stato proclamato uno sciopero generale come risposta popolare alla riforma fiscale imposta dal ministro Carrasquilla e dal presidente Ivan Duque – delfino di Álvaro Uribe e del Centro Democratico – che continua con le politiche di dilapidazione del bene pubblico attraverso privatizzazioni, corruzione generalizzata, mancanza di politiche sociali che garantiscano i minimi diritti in materia di sanità, istruzione e abitazione.
In breve, non vi sono garanzie per una vita dignitosa.
Durante la peggiore pandemia vissuta in molti secoli a livello mondiale, in America latina, dove i modelli di sviluppo degli Stati sono pervasi da una volontà neo liberale, estrattivista, altamente dannosa per la tutela della vita in tutte le sue forme, la crisi socio-sanitaria è stata la goccia che ha superato tutte le capacità di resistenza che storicamente contraddistinguono l’individuo medio in questa regione. La Colombia non fa eccezione.
Dopo la firma degli accordi di pace nel 2016, la Colombia ha visto rinascere la speranza di riscrivere la sua storia. Niente di più lontano dalla realtà.
Ivan Duque ha fatto tutto il possibile per smantellare gli accordi di pace, alimentando inoltre una pratica che criminalizza la protesta sociale, la denuncia delle violazioni dei diritti umani, nonché la difesa dei territori, oggetto di depredazione e saccheggi da parte di compagnie multinazionali e imprese nazionali, con il sostegno dei governi locali e nazionali. È così che il numero di uccisioni dalla firma degli accordi di pace ammonta a 1088 morti tra leader e difensori dei diritti umani (dato http://www.indepaz.org.co/pazparaliderar/ ).
Il sistema economico colombiano è un sistema in fallimento. Dipende dall’estrazione di minerali e petrolio, dal saccheggio dei territori, dalla capacità di indebitamento della gente e – come non poteva essere altrimenti dopo più di 30 anni di sfruttamento del più grande mercato che ha trovato un paese come il nostro – : dall’esportazione di cocaina. Tuttavia, in tempi di rabbia, l’economia del paese dipende, come mai prima, dalla forza di lavoro e dalla capacità di sforzo delle classi popolari di alzarsi ogni giorno per procurarsi il pane in modo informale. L’informalità è il marchio della Colombia e la pandemia, nel caso non ci fosse stato chiaro, lo ha messo sul tavolo (vuoto).
Cosa succede quando la capacità di sopportazione della popolazione arriva al limite? Quando non si può più andare a vendere empanadas, magliette, lavare auto o trasportare cibo, cosa rimane al popolo? Cosa succede quando un governo continua a prendere in giro la sua gente, la manipola, la strangola e la fa scegliere tra il virus e la fame? Sicuramente vince la fame. La fame sempre.
In questo ambiente di ineguaglianza, ingiustizia sociale, impunità e criminalizzazione, si verifica questa protesta generalizzata, convocata dal “Comité del Paro” [Comitato dello sciopero] e sostenuta da tutti i settori sociali, in risposta all’assalto della riforma fiscale che non solo penalizza molto di più le classi popolari e non grava invece sulle grandi compagnie, imprese e capitali, ma colpisce anche il paniere familiare basico per il sostentamento.
Davanti alle mobilitazioni e allo sciopero continuo la risposta del governo è stata la repressione smisurata in tutto il territorio colombiano, lo spiegamento dello ESMAD (Squadrone Mobile Antisommossa) e la militarizzazione del paese. Non c’è dialogo né consultazione con i settori più colpiti che sono la grande maggioranza della popolazione. Il risultato di tale violenza statale alle 10 a.m. ora locale del 3/05 è così riassunto:
. 1181 casi di violenza della polizia
. 142 vittime di violenza fisica da parte della polizia
. 26 casi di omicidi da parte della polizia
. 761 casi di arresti arbitrari
. 216 casi di intervento violento da parte della forza pubblica
. 56 casi di spari con armi da fuoco da parte della polizia
. 9 vittime di violenza sessuale
. 56 sparizioni nel contesto delle mobilitazioni.
Questo il quadro della situazione al momento indicato, ma sappiamo che le cifre continuano ad aumentare.
Il 3 maggio Il Presidente Duque, sotto la pressione delle mobilitazioni, decide di ritirare la riforma fiscale, dicendo che sebbene la necessità di una riforma non sia in discussione, si può arrivare ad un accordo sui minimi per configurare una nuova proposta. Ci sarebbe da chiedersi con chi vuole raggiungere un consenso, perché ciò che non capiscono il presidente e il suo entourage è che quello che i movimenti indigeni e tutti i settori popolari (contadini, commercianti, trasportatori, studenti, donne e giovani di tutto il paese) vogliono non è solamente il ritiro della riforma fiscale. Vogliono le dimissioni del presidente e del suo ministro: “¡que se vayan Duque y Carrasquilla!” è la rivendicazione del popolo colombiano che non ce la fa più.
Parallelamente a questa riforma fiscale, vi sono anche la riforma della sanità, il regolamento della consultazione preventiva, la riforma delle pensioni, le fumigazioni con glifosato come politica anti-droga, la corruzione generalizzata, la totale assenza di politiche sociali che garantiscano i diritti fondamentali, la persistenza del saccheggio e dell’estrattivismo in gran parte del territorio a scapito delle popolazioni (per lo più contadine, indigene e afro-discendenti), degli ecosistemi e di tutte le vite associate. È necessaria una riforma agraria urgente e un reddito minimo per non cadere nella miseria assoluta.
La situazione di sfinimento della popolazione è arrivata al limite ed è così che la risposta è nelle strade, la protesta, lo sciopero generale e la messa in discussione di un governo e di un modello di stato concepito da una minoranza di potenti pieni di privilegi che non sanno quanto costa un uovo e tanto meno quanto costa la vita di una persona. Neppure si sognano di comprendere la popolazione impoverita ed è per questo che la risposta alle sue richieste è la violenza di polizia e militari.
Da parte nostra, popolazione migrante nello stato spagnolo e in altri paesi europei, ci stiamo mobilitando e denunciando la violenza dello Stato colombiano che minaccia tutti i diritti umani, con manifestazioni, mobilitazioni e campagne sui social network.
Appoggiamo sia lo sciopero che la protesta sociale e chiediamo le dimissioni di Carrasquilla e Duque e che vengano invertite le misure dell’attacco sociale, non solo quelle che si stanno predisponendo ma anche quelle che hanno favorito la privatizzazione dei servizi pubblici. Chiediamo la fine dell’estrattivismo e delle politiche di svendita del territorio alle grandi corporazioni, la reale attivazione degli accordi di pace e la garanzia della protesta e della mobilitazione sociale senza criminalizzazione e violenza da parte delle forze armate e che termini la loro impunità.
Il popolo colombiano continua oggi in piazza.
La risposta di Duque non può essere la violenza, il militarismo e la morte.
Maggio, 2021
María Eugenia García Nemocón: attivista femminista-decoloniale, migrante colombiano e militante di Anticapitalistas
Katherine M. Tirano: Antropologa Sociale. Colectiva de mujeres refugiadas, exiliadas y migradas.