Gli abitanti del campo di Dheisheh si raccontano. Avremo voluto mostrarvi i loro volti, farvi ascoltare il suono della loro voce. Ma in Palestina si viene arrestati per un post su Facebook. Per la foto di un ragazzo ucciso trovata dai militari su un cellulare durante un’ispezione. “Metterci la faccia” è sempre più pericoloso. Rispettando le loro richieste, con il loro permesso abbiamo trascritto alcune delle testimonianze che ci sono arrivate in queste settimane. La guerra totale di Israele entra nelle case, colpisce la sfera più intima, lasciando un amaro senso di vuoto e ingiustizia.
Le invasioni del campo non sono una novità per gli abitanti di Dheisheh. Quel campo di 300 metri quadri è sempre stato nel mirino dell’esercito israeliano, soprattutto durante il lockdown della prima Intifada e le invasioni dei carri armati durante la seconda. Ma quanto accaduto dopo il 7 ottobre è andato ben oltre l’inimmaginabile, anche per chi credeva di aver già conosciuto la faccia più brutale dell’occupante.
Non c’è da stupirsi che in Cisgiordania non ci siano più manifestazioni. Ci stanno arrestando per dei semplici post su Facebook. Sei mesi, minimo, di carcere solo per un post su Facebook: riesci a immaginarlo? Te lo giuro, hanno convocato uno solo perchè ha messo “like” a un post dove si parlava dei crimini di guerra a Gaza. Riesci a immaginarlo?
Vengono tutte le notti, a volte anche di giorno, e si portano sempre via qualcuno. Lo arrestano o gli sparano. Gli abitanti del campo hanno paura. A volte arrivano dei giornalisti ma nessuno vuole più parlare con loro. Non si fidano di nessuno. Basta una parola e vengono a prenderci. Non abbiamo mai visto niente del genere, nemmeno durante gli anni dell’Intifada.
Credo che a Dheisheh abbiano arrestato circa 150 persone dopo il 7 ottobre. Tante volte non sappiamo niente di loro: dove vengono portati, se ci sono e quali sono le accuse (che in realtà non ci sono quasi mai), e quali sono le loro condizioni di salute. Non vedono gli avvocati, figuriamoci i familiari. È come se finissero in un buco nero.
Oltre agli arresti pesa il numero dei feriti. Hanno gambizzato decine di ragazzi. Avrebbero bisogno di una lunga riabilitazione con delle calzature speciali. Ma a Dheisheh ormai non lavora più nessuno. Sta diventando difficile mettere qualcosa in tavola tutti i giorni, figuriamoci spendere centinaia di shekel per farmaci e attrezzature.
L’umore degli abitanti è a terra. I bambini non giocano più. Giri l’angolo e li senti parlare di politica. Dopo Gaza, stiamo aspettando il nostro turno.
R. , 35 anni, campo profughi di Dheisheh