di Lorenzo Fe – In occasione della morte del Premio Nobel per la Pace Nelson Mandela, Slavoj Zizek scrisse un articolo provocatoriamente intitolato: “Se Nelson Mandela avesse vinto davvero, non sarebbe universalmente considerato un eroe”. Il grande militante anti-capitalista sudafricano riuscì infatti a salvare il Sud Africa dalla guerra civile e da possibili restaurazioni autoritarie, ma al prezzo di abbandonare la realizzazione delle promesse di giustizia sociale al centro della lotta contro l’apartheid.
Il 9 ottobre il “Quartetto” ha ricevuto il Premio Nobel della Pace per il successo della “transizione democratica” in Tunisia. I componenti del quartetto sono la più grande centrale sindacale del paese (UGTT), l’associazione di rappresentanza padronale (UTICA), la Lega Tunisina de Diritti dell’Uomo e l’Ordine degli Avvocati. Il Quartetto gestì il Dialogo Nazionale che permise al paese di uscire dalla grave crisi politica tra governo islamista e opposizione modernista scoppiata in seguito agli assassinii jihadisti del leader Marxista Choukri Belaid e del nazionalista di sinistra Mohamed Brahmi.
Il Quartetto riuscì a portare governo e opposizione sul tavolo delle trattative, stilando un calendario per la promulgazione della nuova Costituzione, le dimissioni dell’esecutivo islamista e l’organizzazione di nuove elezioni. Un vero capolavoro di strategia politica che scongiurò i rischi di uno scenario egiziano di massacri e ritorno a una dittatura ancora più repressiva della precedente.
Nonostante l’immagine di facciata, la vera leadership del Dialogo Nazionale è sempre stata nelle mani dell’UGTT. Lo storico sindacato è la più grande organizzazione nazionale in termini di iscritti, forte della legittimità rivoluzionaria conferitagli dal ruolo cruciale che i suoi militanti di base di estrema sinistra hanno giocato nello scontro tra insurrezione popolare e regime.
Tuttavia, dopo la rivoluzione l’UGTT si è ritrovata indebolita dal conflitto interno tra “militanti” e “burocrati”, dalla vittoria elettorale della destra islamista sostenuta da Qatar e Turchia e soprattutto dallo stretto controllo sulla politica economica imposto dalle organizzazioni finanziarie internazionali tramite il ben noto strumento del debito pubblico.
Di fronte a tale congiuntura e agli attacchi terroristici contro la sinistra, la leadership dell’UGTT ha ritenuto necessario entrare in un’alleanza strategica con il padronato e con la classe politica del vecchio regime in modo da ergersi a baluardo contro la destra islamista da un lato e scongiurare il rischio di un colpo di stato dall’altro. Per poter fare ciò, ha dovuto sacrificare in gran parte la lotta per alcuni obiettivi chiave della rivoluzione: la giustizia sociale e la pulizia dell’apparato statale dagli elementi del vecchio regime.
Mohamed Brahim Bourghida, militante di base della sinistra UGTT, commenta: “Il Premio Nobel è un segnale positivo in quanto riconosce il ruolo dell’UGTT nella mediazione democratica. Ma non bisogna dimenticare che è anche una consacrazione dell’alleanza contro natura tra sindacato e padroni, che nel Dialogo Nazionale ci sono state forti ingerenze da parte delle potenze occidentali e che ad essere premiato è il versante conservatore dell’UGTT piuttosto che quello rivoluzionario”.
Oggi il governo in carica continua a seguire fedelmente le politiche di FMI e Banca Mondiale, gli uomini d’affari corrotti della cricca di Ben Ali stanno venendo riabilitati, gli oneri per il pagamento del debito pubblico aumentano, la disoccupazione giovanile è più alta rispetto a prima della rivoluzione e il cinismo prevale tra i giovani dei quartieri e i militanti politici che nel gennaio 2011 furono in prima linea. In ultima analisi, il Premio Nobel per la Pace premia la leadership dell’UGTT per essersi piegata a un rapporto di forza globale sfavorevole al raggiungimento degli obiettivi della rivoluzione.
A giudicare dagli amari esiti delle rivolte arabe negli altri paesi, è probabile che l’UGTT non avesse scelta e che abbia preso la decisione più saggia. Ma è veramente qualcosa per cui valga la pena di festeggiare? Oggi come non mai è importante continuare a sostenere le lotte globali per i diritti e la dignità, evitando di compiacersi della “santificazione” delle conquiste ottenute.